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Cos’è la manipolazione affettiva?

imagesDCGWLQTGLa manipolazione emotiva è una forma di comportamento volto al raggiungimento dei propri scopi attraverso l’induzione nell’altro di emozioni negative, tipicamente ansia, paura, timore di abbandono o senso di colpa, che non tiene dunque conto della volontà altrui ma solo della propria. Il tipo di comunicazione che sostiene la manipolazione affettiva è di carattere aggressivo, anche se a volte può essere mascherata dalle parole più dolci e affettuose.

Questo ricatto emotivo non si manifesta in tutte le relazioni perché è necessaria la presenza di alcune condizioni che lo rendono possibile, prima tra tutte il tipo di ruolo assunto dalle persone coinvolte nel rapporto: un manipolatore ha bisogno di una o più vittime da manipolare. Ciò vuol dire quindi che questa dinamica si mantiene e si protrae nel tempo perché in qualche modo i ruoli si rinforzano a vicenda: il manipolatore non tollera di non poter raggiungere il suo scopo, crede che l’unico modo per poterlo fare sia utilizzare l’emotività della vittima che a sua volta ha instaurato con lui un rapporto di dipendenza affettiva e quindi di bisogno di approvazione e ricerca di consenso.

Il rapporto quindi si mantiene attraverso uno sbilanciamento del potere a favore del manipolatore. La persona manipolata viene criticata, svalutata, i suoi bisogni e desideri non vengono tenuti minimamente in considerazione, il suo parere è di scarsa se non nulla rilevanza. Tutti a volte utilizziamo forme manipolatorie all’interno delle relazioni che possono essere più o meno sane o non nocive, ma come si distingue una manipolazione patologica? Quest’ultima si caratterizza per l’obbligo percepito da parte della persona manipolata a mettere in atto scelte o azioni non dettate dalla propria volontà o che vanno contro i propri principi etici e morali. Si parla di manipolazione patologica quando la fine del conflitto è resa possibile solo se la vittima adotta la stessa visione della realtà del manipolatore, solo se finisce per condividerla ammettendo di aver sbagliato e giustificando la rabbia dell’altro. Ma come si riconosce un manipolatore? La prima caratteristica è sicuramente la credenza di avere sempre ragione, il punto di vista altrui, se differisce dal proprio, non viene preso in considerazione ma criticato e svalutato. I problemi dell’altro o le difficoltà vengono sminuite con accuse di egocentrismo o bisogno di attenzione, ciò che è importante è il suo mondo e non quello altrui. Le frequenti esplosioni di rabbia o la negatività esasperata nei conflitti portano la vittima a preoccuparsi costantemente di non farlo arrabbiare per paura di ripercussioni, ogni conflitto diventa estenuante per cui la vittima “impara” a non esprimere opinioni o bisogni se pensa che possano sollevare problematiche nel manipolatore. Il manipolatore ha un assoluto bisogno di controllo e di potere, frequentemente manifesta tratti narcisistici/paranoidi di personalità che lo portano a non prendere in considerazione la possibilità di aver sbagliato ma ad addossare tutta la responsabilità all’altro che si vede sopraffatto e colpevolizzato. Frequentemente giudica globalmente le persone e non i loro comportamenti inducendo nell’altro il timore di essere “sbagliato”. Il suo bisogno di avere sempre ragione deriva da un senso di identità fondato sul bisogno di essere percepito come potente, superiore e quindi ammirabile e stimabile.

Nei casi più gravi questo tipo di rapporto sfocia nella violenza fisica e quindi nel maltrattamento della vittima che vive una situazione di angoscia continua e si percepisce in una trappola.

Una delle più tipiche situazioni di manipolazione affettiva consiste purtroppo nel concepire il comportamento del manipolatore come giusto e il proprio carico emotivo come “meritato”. È la più subdola e avvilente forma di plagio emotivo ed è purtroppo uno dei motivi sempre più frequenti per cui non si chiede aiuto.

La ricerca dell’approvazione degli altri: quando si teme la valutazione negativa

valuazioneIl bisogno dell’approvazione altrui nasce da alcune convinzioni su noi stessi che ci spingono ad anteporre alle nostre valutazioni quelle di altre persone a cui ci affidiamo al fine di non commettere errori e rischiare un giudizio negativo.

Ricercare il consenso degli altri, i complimenti e gli elogi non è in sé dannoso in senso assoluto, sapere di essere valutati in modo positivo accresce infatti la nostra autostima e il nostro senso di autoefficacia. Questa ricerca diventa però svantaggiosa e controproducente nel momento in cui si passa dal desiderio o dalla preferenza di una valutazione positiva all’assoluto bisogno o necessità che questa arrivi.

Generalmente, la necessità dell’approvazione altrui nasce da alcune convinzioni irrazionali, alcune di queste sono:

  • Devo essere sempre all’altezza in tutto ciò che faccio;
  • Se qualcuno mi giudica negativamente vuol dire che non valgo;
  • Devo chiedere sempre agli altri per essere sicuro di fare bene;
  • Non sono in grado di fare delle scelte, meglio chiedere a qualcuno di aiutarmi.

Molto spesso siamo vittime di un errore di valutazione secondo cui definiamo il valore di una persona in base ai suoi comportamenti. In realtà non è possibile definire in modo così semplicistico un essere umano, siamo troppo complessi e non essendo perfetti, riusciamo a fare molto bene alcune cose e meno bene altre. Definirci in base ai nostri successi o fallimenti non conviene, possiamo pensare di compiere azioni corrette ma come ci definiamo quando commettiamo un errore? E come definiamo un amico che ci fa un torto dopo anni di amicizia?

Il timore della valutazione negativa degli altri è inoltre mosso da un ulteriore errore di valutazione: concepire l’opinione altrui come una lettura del proprio valore personale. Il giudizio degli altri, positivo o negativo che sia, non ci definisce, ci informa solo di un’opinione o gusto altrui e ognuno di noi ha un complesso sistema di valutazioni e opinioni personali, come pretendere che coincidano tutte? Questo vuol dire che non è possibile essere valutati positivamente da tutti e che è molto più facile accettare un giudizio negativo che affannarsi a prevenirlo a tutti i costi.

Infine, affidarsi perennemente agli altri ci priva di un aspetto importantissimo della nostra vita: la libertà di scelta. Se non ci si focalizza sui propri desideri e bisogni e si prendono in considerazione solo le idee degli altri si rischia di crescere con un vago senso di identità e quindi con una scarsa consapevolezza delle proprie aspirazioni.

Si rischia di essere specialisti nella conoscenza dettagliata di ciò che vuole e pensa l’altro sapendo davvero poco di sé stessi.

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