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L’importanza dello stile assertivo

assertivitaL’assertività è la capacità di interagire con gli altri, in qualsiasi contesto relazionale, in modo efficace, adeguato, affermando i propri punti di vista o bisogni nel rispetto di quelli altrui. È un atteggiamento quindi molto lontano dalla passività e dall’aggressività che si collocano ai poli opposti dello stile di comunicazione e che risultano non efficaci e molto spesso dannosi.

Le persone con uno stile passivo hanno difficoltà ad esprimere i propri bisogni, desideri o punti di vista perché convinti che valgano meno o no siano importanti tanto quanto quelli degli altri. Le loro opinioni sono molto spesso influenzate e se divergono da quelle altrui vengono taciute o nascoste. Hanno un enorme difficoltà nel dire “no”.

Le persone con uno stile passivo hanno al contrario la tendenza a prevaricare gli altri concentrandosi unicamente sui propri bisogni e desideri, i loro scopi vengono spesso raggiunti con qualunque mezzo, uno di quelli più frequentemente utilizzati è la minaccia.

Le persone con uno stile assertivo invece, non hanno bisogno dell’aggressività per raggiungere i propri scopi ma utilizzano un tipo di comunicazione che facilita le loro relazioni nel pieno rispetto di sé stessi e degli altri. Le caratteristiche delle persone assertive sono:

  • fiducia nelle proprie capacità;
  • riconoscimento dei propri limiti e dei propri punti di forza;
  • rispetto e accettazione del punto di vista altrui;
  • capacità di chiedere scusa;
  • capacità di ascoltare l’altro non formulando giudizi;
  • capacità di cambiare opinione (compiere valutazioni più accurate e non soffermarsi sulla prima impressione);
  • capacità di dire “no” senza provare emozioni di colpa.

Lo stile assertivo quindi permette una comunicazione più efficace e funzionale, migliora le relazioni e apporta loro numerosi benefici.

Workaholism: la dipendenza da lavoro

lavoro-drogaIl termine “Workaholism” indica una patologia che si colloca tra le cosiddette “nuove dipendenze” e si riferisce all’incapacità di smettere di lavorare, utilizzando gli impegni e le attività allo stesso modo di una “sostanza”, accusando quindi veri e propri sintomi (irritabilità, depressione, ansia) nei momenti in cui non ci si sente impegnati nell’attività lavorativa. Il lavoro diventa una vera e propria ossessione che ha pesanti effetti sulla persona, primo fra tutti un isolamento progressivo dagli altri e un’indifferenza preoccupante verso tutti gli altri ambiti di vita non correlati al lavoro.

Questa sindrome però non viene sempre riconosciuta, anche perché viene spesso rinforzata dalla nostra società che apprezza e incentiva il super lavoratore, loda la sua efficienza e premia la sua iper-disponibilità contribuendo a consolidare in lui la percezione della sua assoluta indispensabilità, oltre ad accrescere la sua autostima e spingerlo verso l’assoluto perfezionismo.

Come si riconosce un lavoratore Workaholic? Alcuni dei sintomi sono i seguenti:

  • Eccessivo tempo dedicato al lavoro (almeno 12 ore al giorno);
  • Sintomi di astinenza quando non si può lavorare (ansia, attacchi di panico, disturbi dell’umore);
  • Preoccupazioni frequenti e ricorrenti su questioni lavorative;
  • Incapacità ad assentarsi dal lavoro anche per malattia;
  • Impoverimento della sfera relazionale e affettiva.

Di solito il dipendente da lavoro nega nel modo più assoluto di avere un problema. Questo è l’aspetto più allarmante: i familiari e colleghi che si mostrano preoccupati vengono derisi e allontanati, le relazioni sociali e affettive subiscono così gravi effetti (uno di questi ad esempio è il divorzio o la separazione).

Le cause del Workaholism possono essere svariate, di solito però una caratteristica comune è l’esser cresciuti in un ambiente che lega l’amore genitoriale all’eccellenza delle prestazioni, il bambino impara quindi che per essere accettato deve dare il massimo. La dipendenza da lavoro non è quindi una scelta consapevole ma una vera e propria necessità.

L’attaccamento al lavoro, quando è sano, è fonte di gratificazione personale, stimola la nostra crescita e ci spinge all’autorealizzazione. Se però facciamo dipendere il nostro valore personale unicamente ed esclusivamente da uno solo dei possibili ambiti della vita rischiamo di vivere in una costante tensione per paura di fallire (è come se puntassimo tutto il nostro patrimonio su un unico numero della roulette).

Il dipendente da lavoro deve abbracciare in sostanza un nuovo modo di percepire il suo valore personale, abolire la convinzione di valere in base a quanto produce, spostarsi verso una filosofia di vita che lo renda consapevole di dover lavorare per vivere e non il contrario.

Perché ci arrabbiamo?

rabbiaLa rabbia è l’emozione che proviamo quando percepiamo di aver subito un torto, un danno o quando qualcuno o qualcosa ci impedisce di raggiungere un nostro scopo.

È un’emozione molto importante perché informa l’altro che ciò che ha fatto viene giudicato negativamente o è dannoso. Anche se la rabbia viene valutata in modo negativo dalla maggioranza delle persone e spesso chi si arrabbia si giudica o viene valutato come una persona incapace di controllare le emozioni, in realtà, non possiamo non provarla, le emozioni infatti colorano il nostro modo di stare al mondo e danno forma, valore e priorità a ciò che ci circonda.

È usanza comune nelle varie relazioni (tra partner, tra genitori e figli, tra fratelli), rispondere alla rabbia esortando la persona a “non arrabbiarsi, non prendersela o non esagerare”. Sicuramente, essendo un’emozione molto attivante, la rabbia ci spinge ad agire, il nostro corpo è pronto ad un atto riparatore di un’ingiustizia subita e percepiamo un forte impulso a compiere un’azione. Spesso ad essere problematica è solo la modalità con cui viene espressa, come ad esempio l’utilizzo dell’aggressività. Il problema diventa dunque quello di esprimere la rabbia in un modo più funzionale, che non crei ulteriori problemi, che aiuti a risolvere la situazione senza peggiorarla. Sarebbe meglio evitare di dire frasi come “non ti arrabbiare, non esagerare” e mostrare comprensione dicendo ad esempio “ti capisco, comprendo il tuo stato d’animo”, “ti aiuto a pensare ad una soluzione”, “cosa ti farebbe stare un po’ meglio?”.

Questo ha l’effetto di promuovere un senso di legittimità di ciò che stiamo provando, facilita la comunicazione e non aggrava la situazione. Spesso infatti giudicare inappropriata la rabbia diventa un ulteriore peso per chi si trova già nel mezzo di un’emozione attivante, non aiuta a diminuirne l’intensità ma addirittura la può accrescere.

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