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Raggiungere la meta e non sentirsi appagati: il popolo degli Insoddisfatti

images1L’insoddisfazione è un’emozione che si esprime attraverso una sensazione di malessere, malcontento generale che deriva dalla convinzione di essere distanti da un ideale prefissato. Più questa distanza è ampia, più intensa sarà l’emozione conseguente. Un esame più attento ci permette di scovare all’interno della generale insoddisfazione, una moltitudine di stati emotivi tra i quali sicuramente primeggia la delusione, un senso di insofferenza, irrequietezza, frustrazione e rabbia che spostano l’attenzione verso scenari non conquistati e non consentono di vivere il qui e ora. Questo vissuto emotivo si manifesta in vari ambiti tra i quali quello lavorativo e professionale (non avere il ruolo ambito), relazionale (non sentirsi amati abbastanza), esperienze e prospettive future di vita (non avere una vita stimolante e interessante). Ma qual è l’ingrediente segreto, cosa rende possibile il permanere dell’insoddisfazione e cosa può cronicizzarla fino a creare problematiche invalidanti come stati ansiosi e depressivi? A farla da padrone è l’utilizzo del paragone. Gli insoddisfatti utilizzano i paragoni in continuazione, quasi senza esserne consapevoli, una vera e propria forma mentis che adoperano per dare significato alla propria esperienza e che finisce per determinare i loro stati emotivi molto più di quanto credano. La gratificazione che provano al raggiungimento del loro obiettivo diviene molto più che passeggera, la sua permanenza è breve e l’autostima non può beneficiarne in modo funzionale. L’attenzione non viene incentrata sul successo raggiunto, che perde quasi di significato, ma sulla prossima tappa che bisogna conquistare, le energie non vengono ricaricate attraverso il meritato riposo ma impiegate nell’organizzazione del nuovo piano di azione.

Non ci si deve fermare mai.

L’insoddisfazione non dà tregua, si avverte il bisogno di mettere fine al disagio ma la strategia utilizzata per porvi rimedio è proprio quella che alimenta il problema e lo rende cronico.

L’insoddisfazione può avere conseguenze molto gravi, sono numerosissimi infatti i casi di sindromi ansiose e di depressione causati proprio da questa tendenza a leggere le situazioni e gli eventi attraverso “non è mai come dovrebbe essere”. Un tratto di personalità molto diffuso negli Insoddisfatti cronici è il perfezionismo, la convinzione cioè di poter arrivare non solo a traguardi sempre più ambiti, ma di farlo nel modo perfetto, quasi maniacale, impiegando le proprie risorse sulla prevenzione di qualunque tipo di imperfezione (che viene vista come danno) o deviazione dai propri ideali e standard e mostrando caratteristiche di estrema inflessibilità e pretese eccessive nei confronti degli altri che vengono giudicati inevitabilmente superficiali.

L’insoddisfazione è strettamente connessa con una delle 12 idee irrazionali descritte da Ellis in Reason and Emotion Psychotherapy (1962): “bisogna essere totalmente esperti, adatti ed efficienti in ogni situazione”. Gli Insoddisfatti quindi utilizzerebbero il paragone per capire quanto sono distanti dal proprio ideale di comportamento, prestazione, efficienza, obiettivo.

È purtroppo però un impianto teorico che vacilla, la prova di ciò sta nel fatto che non raggiungono mai la gratificazione, l’obiettivo reale dei loro affanni.

Workaholism: la dipendenza da lavoro

lavoro-drogaIl termine “Workaholism” indica una patologia che si colloca tra le cosiddette “nuove dipendenze” e si riferisce all’incapacità di smettere di lavorare, utilizzando gli impegni e le attività allo stesso modo di una “sostanza”, accusando quindi veri e propri sintomi (irritabilità, depressione, ansia) nei momenti in cui non ci si sente impegnati nell’attività lavorativa. Il lavoro diventa una vera e propria ossessione che ha pesanti effetti sulla persona, primo fra tutti un isolamento progressivo dagli altri e un’indifferenza preoccupante verso tutti gli altri ambiti di vita non correlati al lavoro.

Questa sindrome però non viene sempre riconosciuta, anche perché viene spesso rinforzata dalla nostra società che apprezza e incentiva il super lavoratore, loda la sua efficienza e premia la sua iper-disponibilità contribuendo a consolidare in lui la percezione della sua assoluta indispensabilità, oltre ad accrescere la sua autostima e spingerlo verso l’assoluto perfezionismo.

Come si riconosce un lavoratore Workaholic? Alcuni dei sintomi sono i seguenti:

  • Eccessivo tempo dedicato al lavoro (almeno 12 ore al giorno);
  • Sintomi di astinenza quando non si può lavorare (ansia, attacchi di panico, disturbi dell’umore);
  • Preoccupazioni frequenti e ricorrenti su questioni lavorative;
  • Incapacità ad assentarsi dal lavoro anche per malattia;
  • Impoverimento della sfera relazionale e affettiva.

Di solito il dipendente da lavoro nega nel modo più assoluto di avere un problema. Questo è l’aspetto più allarmante: i familiari e colleghi che si mostrano preoccupati vengono derisi e allontanati, le relazioni sociali e affettive subiscono così gravi effetti (uno di questi ad esempio è il divorzio o la separazione).

Le cause del Workaholism possono essere svariate, di solito però una caratteristica comune è l’esser cresciuti in un ambiente che lega l’amore genitoriale all’eccellenza delle prestazioni, il bambino impara quindi che per essere accettato deve dare il massimo. La dipendenza da lavoro non è quindi una scelta consapevole ma una vera e propria necessità.

L’attaccamento al lavoro, quando è sano, è fonte di gratificazione personale, stimola la nostra crescita e ci spinge all’autorealizzazione. Se però facciamo dipendere il nostro valore personale unicamente ed esclusivamente da uno solo dei possibili ambiti della vita rischiamo di vivere in una costante tensione per paura di fallire (è come se puntassimo tutto il nostro patrimonio su un unico numero della roulette).

Il dipendente da lavoro deve abbracciare in sostanza un nuovo modo di percepire il suo valore personale, abolire la convinzione di valere in base a quanto produce, spostarsi verso una filosofia di vita che lo renda consapevole di dover lavorare per vivere e non il contrario.

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