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Il rimprovero come strumento educativo

bimbo-300x225Il rimprovero è un atto educativo che ha l’obiettivo di sanzionare una condotta o un modo di fare giudicato inopportuno, la sua funzione è quindi quella di correggere un comportamento ritenuto sconveniente o nocivo, non in linea con alcuni standard adottati da chi muove la critica.

Essendo uno strumento educativo, non si può non tener conto della modalità con cui viene attuato e degli effetti che questo comporta sul bambino.

Se da un lato è vero che non rimproverare un bambino non gli dà l’opportunità di comprendere quali comportamenti non deve ripetere, dall’altro troviamo a volte rimproveri che non riescono a raggiungere l’obiettivo per cui sono effettuati. Spesso capita infatti di compierlo con una modalità aggressiva che diventa controproducente.

Quali sono quindi le caratteristiche di un rimprovero adeguato?

  • Riferirsi solo a ciò che è accaduto senza generalizzare: un comportamento errato o sbagliato non implica che il bambino sia “cattivo”;
  • Assicurarsi che il bambino abbia compreso la motivazione per cui non deve ripetere quel comportamento, il bambino non ha in mente tutte le motivazioni dell’adulto per cui non si può dare per scontato che ne abbia compreso tutte le conseguenze;
  • Utilizzare un tono autorevole e deciso;
  • Comunicare senza aggressività ed evitare modalità ricattatorie.

Il rimprovero deve promuovere un atteggiamento autocritico ed aumentare la consapevolezza, utilizzarlo con un’emotività molto alta (ad esempio in preda alla collera) favorisce nel bambino l’insorgenza di emozioni come la paura, la rabbia che non permettono la riflessione sui propri atteggiamenti e sulle motivazioni che li hanno generati.

Qual è il miglior metodo educativo?

eduL’educazione dei bambini ha subito col tempo un notevole aumento dell’attenzione e molto spesso i genitori si documentano sempre più sui vari stili educativi e su quale sia il modo migliore per crescere i propri figli.

La crescente attenzione ai minimi aspetti delle scelte educative ha messo in dubbio uno dei detti popolari più famosi della “psicologia comune” come “Mazze e panelle fanno i figli belli”. Questo stile educativo è guidato dal principio teorico che vede la “punizione” come un possibile deterrente di comportamenti giudicati inopportuni. Ma è davvero così? È chiaro che tutti i genitori hanno come obiettivo il bene dei figli ma come si fa a capire se un metodo educativo è adeguato?

Ogni genitore dovrebbe tener conto che insieme al coniuge, rappresenta il primo modello attraverso cui il bambino impara. Da lui apprende non solo a parlare, a camminare e a giocare, ma impara un’abilità importantissima: stare in relazione. Stare in relazione con gli altri è una capacità che il bambino sperimenta a partire dagli adulti di riferimento e utilizza con i suoi pari e con gli altri, generalizzando il modello appreso che diventa una sorta di “schema”, un modo fisso di relazionarsi. Durante la crescita, i bambini mettono sicuramente a dura prova la pazienza degli adulti (continue richieste, insistenze, provocazioni) e di certo una “sberla” non è sinonimo di “non amore o cattiveria” del genitore. Se adesso facciamo un passo indietro, e torniamo al concetto di “apprendimento dall’adulto”, lo schiaffo presenta caratteristiche e soprattutto significati che paradossalmente non vorremmo che un bambino apprendesse. Nello specifico, i messaggi contenuti nello schiaffo sono:

  • La mamma o papà quando si arrabbiano possono farmi del male e quindi sono da temere (imparo ad aver paura di loro);
  • Siccome li temo non posso parlar loro di tutto, se si arrabbiano io rischio di star ancora peggio! (Non so con chi parlarne/devo rivolgermi ad altri);
  • Quando ci si arrabbia con qualcuno lo si può/deve picchiare;
  • Se picchio chi mi fa arrabbiare ottengo che lui smetta di fare ciò che mi infastidisce.

Ora, immaginate di utilizzare la sberla come strumento educativo. Ancora, immaginate che vostro figlio abbia picchiato un compagno a scuola durante un diverbio e che la maestra ve lo riferisca. Tornate a casa e, ovviamente, parlate dell’accaduto con il bambino. Come gli spiegate che non si fa e che non deve farlo più? In fondo voi con lui lo avete fatto e lui ha imparato che spaventare l’altro è il metodo più efficace per raggiungere l’obiettivo. Come risolvete la situazione? Come gli spiegate che voi potete farlo e lui no? Cosa ottiene il bambino da questa esperienza? Confusione, instabilità, mancanza di sicurezza nel genitore, errata previsione dei suoi comportamenti. Ecco quindi che l’incoerenza del genitore è una delle caratteristiche più pericolose nell’educazione dei figli.

Allora probabilmente ciò che conta è dialogare, spiegare, insegnare a gestire le emozioni già dalle piccole situazioni che ci vengono offerte quotidianamente in modo che il bambino impari a capire come si sente e apprenda dal genitore un modo funzionale per esprimere quell’emozione.

Un corretto stile educativo quindi, non insegna a risolvere i problemi con l’aggressività ma attraverso il dialogo, la comprensione delle motivazioni alla base dei comportamenti, il suggerimento di una strategia diversa per risolvere i problemi. Inoltre, essendo esseri sociali abbiamo bisogno degli altri nella nostra vita e imparare a “stare in relazione” è di fondamentale importanza. Stare in relazione insomma è una capacità inscritta nel nostro patrimonio genetico ma modellabile e plasmabile da chi ci insegna sin dai primi giorni di vita a stare al mondo.

Non possiamo quindi interrogarci sulla correttezza di un metodo educativo se non cerchiamo di analizzare il nostro modo di relazionarci con i figli, perché questo viene prima di tutto. Cerchiamo di soffermarci più sul “come” insegniamo, il “cosa” viene dopo.

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