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L’errore come occasione di miglioramento

errare-300x214Siamo da sempre abituati a pensare all’errore come ad un evento negativo e questo ha portato inevitabilmente alla condanna di tutto ciò che comunemente rientra nell’ambito dell’insuccesso.

Un noto proverbio recita: “Sbagliando si impara” e in effetti l’insuccesso assume proprio questo valore, è un momento di apprendimento.

Il bambino impara a camminare proprio cadendo più volte, è così che migliora la sua capacità di stare in equilibrio, è così che impara a conoscere i movimenti che sono da evitare per non cadere nuovamente. L’errore assume quindi una notevole importanza in quanto:

  • È un momento di apprendimento;
  • Arricchisce la nostra esperienza;
  • Aumenta la nostra capacità predittiva;
  • Aggiorna la nostra conoscenza.

Ma cosa trasforma l’errore da momento costruttivo a evento negativo? Ciò che fa la differenza è la valutazione che ne facciamo e la tendenza a metterlo in relazione con l’autostima e l’efficacia personale. Se infatti poniamo che ci sia l’equivalenza tra le persone e le loro azioni, indubbiamente corriamo il rischio di percepirci negativamente nel momento in cui un nostro comportamento non raggiunge l’obiettivo per cui è stato messo in atto e questo può portare a provare emozioni come rabbia, colpa o vergogna. Un’altra variabile importante è costituita dalla credenza che la strada per il successo sia percorribile senza intoppi o imprevisti e che qualora dovessimo incontrarli vuol dire che non siamo stati bravi a fare delle previsioni accurate. Ma la vita è incertezza, una parte della realtà può essere prevedibile ma non possiamo controllarne tutti gli aspetti. Sbagliare inoltre è un diritto: essendo esseri umani e quindi imperfetti, abbiamo la possibilità di fare molto bene alcune cose e meno bene altre perché abbiamo dei limiti e siamo molto diversi l’uno dall’altro.

È più utile quindi non condannarci quando sbagliamo ma scegliere di concepire l’errore come un’occasione di miglioramento. Gli altri in fondo, contrariamente a quello che possiamo pensare, apprezzano maggiormente chi ammette i propri sbagli con serenità piuttosto che coloro che si auto colpevolizzano in continuazione o che, addirittura, ritengono di fare sempre le cose nel modo perfetto.

“Questione di principio”: quando la rigidità ci danneggia

sensounicoA quanti sarà capitato nella vita di dire o sentire: “Non mi importa, è una questione di principio”?

Spesso ci aggrappiamo a convinzioni che abbiamo appreso o che ci sono state trasmesse come se fosse l’unica alternativa che abbiamo, come se non ci fossero altri modi di affrontare il problema. Questo accade quando tendiamo a concepire la realtà unicamente così come appare ai nostri occhi, quando siamo convinti che il nostro modo di concepire un problema o una situazione sia l’unico giusto o adeguato e quindi l’unico da adottare e non prendiamo in considerazione altri punti di vista.

Nella vita, i principi morali sono molto importanti, li impariamo sin da piccoli e ci vengono trasmessi dalla cultura e dalla nostra famiglia. Hanno un enorme valore adattivo, guidano il nostro comportamento e facilitano le nostre relazioni.

Può accadere tuttavia che la coerenza verso il rispetto assoluto di un principio possa danneggiarci, ma non sempre ce ne rendiamo conto. Attenersi a un’idea, una convinzione o ad un progetto originario con assoluta fermezza non vuol dire essere “coerenti con sé stessi” bensì “rigidi”. Essere coerenti con sé stessi implica la consapevolezza di ciò che pensiamo, proviamo e delle conseguenze del nostro modo di comportarci. Essere rigidi invece ci fa guardare il mondo secondo una sola tonalità, non ci permette deviazioni dal percorso prefissato, la nostra esplorazione è condizionata e limitata. Il pensiero rigido è un tipo di pensiero povero, fondato su dogmi o verità immodificabili e di conseguenza poco produttivo, poco creativo.

È molto importante invece cercare di essere flessibili. La flessibilità ci permette di essere indulgenti, non solo verso gli altri ma anche verso noi stessi. Se adottiamo uno stile di pensiero caratterizzato da inflessibilità tenderemo a non perdonare gli altri ma neanche noi stessi e a giudicare ogni deviazione dai nostri schemi come pericolosa o fallimentare. Il nostro modo di stare in relazione risentirà spesso dell’insoddisfazione o frustrazione dell’altro per la nostra mancanza di elasticità.

Abbandonare un principio o una convinzione non vuol dire rinunciare a una parte della propria identità o essere dei traditori verso i propri valori, vuol dire al contrario arricchirsi, aggiornare la propria conoscenza e migliorarsi. Cambiare idea non è pericoloso, è al contrario molto importante ma di solito è ostacolato da emozioni di orgoglio, vergogna o colpa che spesso condizionano le nostre scelte e la nostra libertà decisionale.

Cerchiamo quindi di affrontare gli eventi di vita per come sono e non per come dovrebbero essere secondo noi. Non consideriamo il nostro modo di vedere il mondo come l’unico, chiediamo all’altro quale sia il suo, ricordiamoci che le relazioni sono enciclopedie di conoscenza.

Darwin ci ha lasciato un grande insegnamento: “Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”.

La rigidità impedisce il cambiamento. Se non c’è cambiamento risulta difficile non solo l’adattamento ma anche la possibilità di migliorarsi.

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