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Coronavirus – Vademecum Psicologico per i Cittadini

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Il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) mette a disposizione dei cittadini che sono in casa per la pandemia una guida per affrontare la situazione con un migliore atteggiamento psicologico e gestire lo stress legato a questa particolare condizione.

Puoi scaricare qui il pieghevole che è stato predisposto per fornire un orientamento psicologico per i cittadini, allo scopo di promuovere atteggiamenti più adeguati e responsabili.

Una appropriata percezione del rischio può aiutare a fronteggiare meglio la situazione ed a proteggere noi stessi e gli altri.

Il pieghevole non sostituisce un aiuto professionale, che in questi giorni può essere importante per molte persone.

Gli Psicologi sono informati sulle norme di protezione da seguire e possono effettuare interventi a distanza ogni volta che ciò sia opportuno.

Non ti vergognare di chiedere aiuto

Se pensi che la tua paura e ansia siano eccessive e ti creano disagio non avere timore di parlarne e chiedere aiuto ad un  professionista.

Gli Psicologi conoscono questi problemi e possono aiutarti in modo competente.

Fonte:  psy.it/psicologi-contro-la-paura

Perché l’esercizio fisico incrementa il benessere psicologico?

L’attenimages301OOQELzione al concetto di “benessere” è nota già dai tempi più remoti. Giovenale, poeta latino vissuto nel primo secolo d.C. affermava nelle sue Satire “Mens sana in corpore sano” secondo la cosiddetta “concezione olistica” dell’uomo che concepisce il benessere come fondato sull’unione mente-corpo.

L’attenzione sempre più crescente agli aspetti psicologici relativi alle varie discipline sportive ha dato vita ad una serie di studi volti a ricercare i meccanismi neurobiologici responsabili dei benefici dell’esercizio fisico e delle modificazioni emotive e cognitive ad esso correlate.

Da una numerosa serie di studi sperimentali è emerso che l’esercizio fisico stimola la produzione di alcune sostanze chimiche nel cervello (in particolare la noradrenalina, implicata nelle reazioni di panico e stress) che facilitano il fronteggiamento dello stress e svolgono un ruolo protettivo nei confronti di emozioni come l’ansia.

Lo sport e l’attività fisica in generale svolgono un ruolo molto importante anche per il trattamento della depressione. Numerose ricerche hanno evidenziato una notevole riduzione della sintomatologia depressiva in soggetti che hanno svolto attività fisica in modo costante e continuativo per almeno tre mesi. Questo è reso possibile grazie alla produzione di due sostanze molto importati per il trattamento degli stati depressivi: le endorfine e l’acetilcolina, due molecole che per le loro proprietà ed effetti sul nostro sistema nervoso sono state definite come “ormoni della felicità”.

Non è da sottovalutare inoltre il ruolo che l’esercizio fisico ha sulla nostra autostima. La costanza nello svolgimento dell’attività fisica, aumenta una serie di prestazioni tra le quali la resistenza allo sforzo, la concentrazione, la memoria, l’autocontrollo. La percezione del miglioramento delle proprie capacità ha effetti importanti sull’autostima, migliora infatti la valutazione globale che facciamo su noi stessi e questo ha importanti effetti anche sui rapporti sociali.

Se da un lato quindi gli studi neurobiologici spiegano gli effetti dell’attività fisica sulla nostra mente, è importante anche sottolineare i numerosi benefici che il corpo trae dall’esercizio fisico. Tra questi i principali sono:

  • aumento della resistenza fisica e delle prestazioni;
  • aumento dell’efficienza dell’apparato scheletrico e cardiocircolatorio;
  • prevenzione di patologie cardiache;
  • prevenzione del diabete;
  • riduzione del colesterolo e dei trigliceridi.

È importante sottolineare che praticare attività fisica non significa necessariamente sottoporsi a pesanti ed estenuanti sessioni di allenamento ma scegliere la modalità di muoversi nel modo più adatto alle proprie esigenze, al proprio stile di vita, ai propri impegni ed orari lavorativi. Significa riuscire a ritagliare un piccolo spazio, almeno due volte alla settimana in cui prendersi cura del proprio benessere, in cui essere consapevoli di svolgere un’attività con l’unico scopo di trarne un beneficio per il corpo e per la mente, un momento in cui si sceglie di prendersi cura di sé e si decide che quell’oretta può essere sottratta alla routine quotidiana e dedicata ad uno degli aspetti che dovrebbero esserci più a cuore: la nostra salute.

Disturbi d’ansia: quali meccanismi li supportano?

ansia-260x160L’ansia è l’emozione che proviamo quando percepiamo una minaccia ad un nostro scopo. È un’emozione molto attivante, la sua funzione è quella di preparare il nostro corpo a reagire prontamente ad una minaccia o ad un pericolo, ci prepara quindi ad una possibile azione immediata. Così come un calciatore ha bisogno di riscaldare i muscoli prima di entrare in campo e iniziare a correre durante la partita, l’ansia attiva il nostro “riscaldamento” per poter affrontare la sfida contro chi mette a rischio la nostra vittoria. E’ importante quindi concepirla come un’emozione utile, funzionale e adattiva.

Ma cosa la trasforma in un nemico? Cosa accade quando interferisce in modo significativo con la qualità della nostra vita?

Perché questo accada e l’ansia dia vita ad un vero e proprio disturbo psicologico è necessario percepire lo scopo messo in pericolo come irrinunciabile, la propria capacità di fronteggiare la minaccia come scarsa o inadeguata e quindi una previsione di scarsa rimediabilità dell’evento temuto. Salkovskis (1996) ha riunito questi concetti in un’equazione:

Ansia = (gravità del pericolo x probabilità del pericolo) / (­­­­­­­­­­­­­­­­­capacità personale di rimediare x capacità personale di sopravvivere)

Un disturbo d’ansia deve la sua gravità e il suo mantenimento ad uno o più dei termini presenti all’interno di questa equazione che si irrigidiscono e diventano inflessibili. Nello specifico, le convinzioni alla base di un disturbo d’ansia sono:

  • Se si avverasse ciò che temo sarebbe devastante…
  • È molto probabile che ciò che temo si accada, quasi sicuro…
  • Quando accadrà non sarò in grado di affrontarlo…
  • Sarà terribile e impossibile continuare a vivere dopo che sarà accaduto…

Questo genera un altro indispensabile ingrediente che contribuisce non solo al mantenimento del disturbo ma anche alla crescita della sua intensità: il bisogno di controllo. Controllare gli eventi e tutte le possibili variabili appare come la soluzione a tutti i mali, come l’unico modo per scongiurare l’evento temuto. Questa convinzione ha però l’effetto di logorare le risorse dell’individuo che si convince di poter evitare le minacce utilizzando un controllo maggiore su tutto ciò che può interferire col raggiungimento del suo scopo. Il controllo però è possibile solo in parte, se esse stesso diventa uno scopo da perseguire per poter evitare possibili minacce o fallimenti la spesa emotiva diviene elevatissima, ed è proprio questo che ci segnala un disturbo d’ansia. Il nostro corpo si attiva in continuazione, la nostra mente è focalizzata su aspetti e conseguenze negative, il qui e ora diventa meno variopinto, la realtà viene scannerizzata in base ai suoi contenuti minacciosi, il bicchiere è inevitabilmente mezzo vuoto. Il rischio della prolungata permanenza di un disturbo d’ansia è quello di preparare un terreno fertile ad un’altra un’emozione spesso collegata, la depressione. Ecco che il futuro si spoglia di ogni prospettiva piacevole, se ci sentiamo condannati a dover schierare ogni giorno le nostre truppe vuol dire che stiamo considerando solo l’esistenza del nemico.

Ecco allora l’importanza di conoscere il nostro avversario, dargli un volto e costruire piani B. Questo non vuol dire arrendersi a lui, rinunciare alle proprie mete, ma fare strada con una visione meno catastrofica della sconfitta, degli ostacoli e della vita. Ridimensionare la minaccia e non sopravvalutare i segnali di pericolo sono fattori che aumentano la nostra percezione di autoefficacia. D’altronde, chi affronterebbe un nemico pericolosissimo pensando di non poter in nessun modo avere la meglio?

 

Bibliografia:

  • Psicoterapia Cognitiva dell’Ansia. A cura di Sassaroli S., Lorenzini R., Ruggiero G.M., Raffaello Cortina Editore, 2006
  • La cura delle emozioni in Terapia Cognitiva. A cura di M. Apparigliato, S. Lissandrom, Collana “Cognitivismo Clinico”, Alpes Italia, 2010.

Gelosia: tra prove d’amore e di debolezza

gelosia_patologiaNon è semplice dare una definizione della gelosia, è un’emozione che spesso viene riferita principalmente all’ambito delle relazioni sentimentali e di coppia. Ma questo non è l’unico terreno in cui si manifesta, la gelosia è nota tra fratelli, nei confronti di un amico o di un oggetto molto caro.

Aldilà degli ambiti in cui prende forma, la gelosia sembra essere un’emozione legata ad una perdita temuta o immaginaria di una relazione privilegiata con qualcuno o qualcosa, esprimerebbe il timore di non poter essere più la persona che detiene il privilegio di poter godere dell’esclusività di qualcuno e delle sue attenzioni.

Ma se tutte le emozioni hanno una specifica funzione e servono ad informarci sul raggiungimento o meno dei nostri scopi, a che serve la gelosia? Quale scopo la muove?

Da un punto di vista filogenetico, la gelosia sembra avere radici antichissime, il suo sviluppo si articolerebbe con la funzione di preservare un rapporto o una relazione con il partner nell’eventualità si configuri la possibilità che questi venga attratto e sottratto da un rivale. La gelosia, nelle sue componenti aggressive, avrebbe la specifica funzione di scoraggiare l’abbandono del compagno/a e intimorire il rivale. Questo garantirebbe di poter avere accanto il partner e assicurare un legame stabile ed utile alla conservazione della specie e alla sua sopravvivenza.

La gelosia può manifestarsi con diversi livelli di intensità. Quando non è eccessiva, ha la funzione di comunicare al partner quanto sia importante e amato ed è quindi funzionale alla consapevolezza del suo valore all’interno della relazione che porta alla gratificazione personale.

La gelosia può raggiungere però livelli di intensità molto pericolosi e portare a conseguenze disastrose e irreparabili. Questo accade quando il timore dell’abbandono del partner si configura come una possibilità molto vicina e presuppone l’idea che sia intollerabile vivere senza di lui. La perdita del partner inoltre, potrebbe rappresentare l’idea di non essere stato in grado di garantire la sua vicinanza e causare un tracollo dell’autostima e della percezione della propria autoefficacia. Questo attiverebbe lo sforzo di mobilitare numerose risorse nel tentativo di evitare di percepirsi deboli e/o perdenti e le conseguenze emotive che ne deriverebbero (tristezza, dolore, rabbia e senso di fallimento). Inevitabilmente si assiste però all’insorgenza di emozioni di ansia e angoscia, ovvero le emozioni che proviamo quando temiamo di non raggiungere uno scopo.

La gelosia, quando diventa patologica, interferisce in modo significativo nella vita dei due partner, crea una serie di stati mentali negativi da cui è difficile sottrarsi a causa della ridondanza del timore di perdita.

In questi casi, ricorrere all’aiuto di un professionista può essere molto utile. È opportuno infatti un lavoro sui meccanismi che stanno alla base del profondo timore di abbandono e sull’acquisizione di un maggior senso di sicurezza nelle relazioni interpersonali che, laddove precario, rischia di configurare esattamente lo scenario tanto temuto.

Bibliografia:

  • La cura delle emozioni in Terapia Cognitiva. A cura di M. Apparigliato, S. Lissandrom, Collana “Cognitivismo Clinico”, Alpes Italia, 2010.
  • Terapia della gelosia e dell’invidia, Edoardo Giusti, Monia Frandina, Sovera Edizioni, 2007

Cos’è l’ansia?

ansia-260x160L’ansia è un’emozione che sperimentiamo molte volte nel corso della vita. Nell’immaginario comune, l’ansia ha una caratteristica tendenzialmente negativa e spesso chi la prova pensa di non riuscire a dominarla o di non essere abbastanza “forte” o “razionale”. In questa concezione la cultura ha un ruolo abbastanza centrale, le società occidentali infatti continuano a promuovere e ad etichettare l’uomo forte come una persona estremamente razionale, che non prova emozioni e che non le esprime. In realtà l’ansia, come molte altre emozioni è utile per il nostro funzionamento ottimale, aumenta le nostre capacità durante le prestazioni e mobilita le risorse necessarie al loro svolgimento. Può accadere tuttavia di non riuscire a gestirla quando diventa troppo intensa e le nostre attività risultano gravemente danneggiate con effetti pesanti sul nostro modo di percepirci e quindi sulla nostra autostima. Questo però non la rende dannosa di per sé, l’ansia infatti diventa problematica quando non riesce ad essere gestita in modo funzionale, quando ci impedisce di raggiungere i nostri obiettivi, quando la percepiamo pericolosa e inopportuna con l’effetto di aumentarne l’intensità.

L’intensità di questa emozione e la sua frequenza dipendono da vari fattori psicologici. Individuarli diventa un’importante occasione per avere la possibilità di correggere i meccanismi responsabili dell’attivazione ansiosa che, laddove problematica, può portare ad una pesante limitazione del proprio benessere.

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