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L’importanza del gioco simbolico per i bambini

game_bimboIl gioco simbolico rappresenta una forma di gioco caratterizzato da “finzione”, dall’utilizzo di un oggetto che evoca in realtà un altro significato e rappresenta quindi qualcos’altro. Si sviluppa a partire dal secondo anno di vita del bambino, dopo il gioco “sensomotorio” caratterizzato da esperienze sensoriali legate al tatto, all’udito (far cadere gli oggetti, far rumore) con cui il bambino effettua un tipo di conoscenza del mondo attraverso i suoi organi di senso.

Il gioco simbolico è un gioco che necessita di una maturazione cognitiva, a partire dai due anni infatti, i bambini acquisiscono la capacità di rappresentarsi mentalmente un oggetto anche se questo non è presente. Ecco quindi che azioni, oggetti, situazioni presenti vengono utilizzate “come se” fossero qualcos’altro, come se avessero un’altra funzione o un altro ruolo (ad es. utilizzare una scatola di cartone come una tana per un leone). Il gioco simbolico è di fondamentale importanza in quanto contribuisce in modo decisivo allo sviluppo del pensiero astratto ma aiuta anche il bambino nella conoscenza del complesso mondo emozionale in quanto permette, attraverso l’imitazione e l’identificazione, la sperimentazione di emozioni e di modelli relazionali.

È bene considerare quindi il gioco simbolico come una buona palestra che consente al tempo stesso allenamento e conoscenza. Nei programmi della scuola dell’infanzia il gioco simbolico ha un posto privilegiato ma dovrebbe acquistare la stessa importanza anche all’interno delle mura domestiche: mamma e papà che giocano a cucinare o ad essere un branco di leoni in una foresta o a guidare un’automobile costruita con il cartone, oltre a passare del tempo insieme ai loro bambini curando la relazione, stanno insegnando loro molto più di qualunque costosissimo gioco o videogame possa mai fare.

L’importanza della lettura per i bambini

Fin dalla nascita il bambino ha una predisposizione innata ad ascoltare la voce umana, è anche attraverso questa infatti che impara a conoscere il mondo, a parlare e a comunicare.

È molto importante, fin dalla tenerissima età, dedicare alla lettura uno spazio adeguato prima di tutto perché, al di là dei numerosi benefici che un bambino trae da questa, leggere una storia è un momento di relazione e condivisione. Vuol dire stare insieme e canalizzare la propria attenzione verso l’altro, occuparsi di chi ascolta e ascoltare chi ci parla.

Quello che può sembrare un banale racconto di una fiaba o di una storia si configura come un potentissimo strumento di sviluppo che sempre più spesso oggi viene sottovalutato o sostituito con l’utilizzo di strumentazioni tecnologiche come i tablet o la tv che però non possono in nessun modo competere con il valore del racconto di una fiaba. Leggere un libro vuol dire:

  • Promuovere lo sviluppo cognitivo e linguistico: la lettura arricchisce il vocabolario, migliora il lessico e le abilità verbali;
  • Aiutare il bambino ad aumentare il tempo di attenzione: la capacità attentiva è una facoltà molto complessa e fondamentale importanza nei processi di apprendimento. La lettura impegna il bambino a prolungare le sue capacità attentive e a selezionare ed elaborare una serie di stimoli forniti durante il racconto;
  • Contribuire allo sviluppo delle capacità immaginative: quello che vediamo in tv è uguale per tutti, quello che immaginiamo leggendo non può esserlo in nessun modo. La lettura contribuisce allo sviluppo delle capacità immaginative e creative, i paesaggi, i personaggi e gli eventi vengono costruiti e investiti di significati personali;
  • Contribuire allo sviluppo della capacità di comprendere il punto di vista altrui: i bambini sviluppano questa capacità a partire dai 4 anni. È un’abilità fondamentale che ci permette di poter stare in relazione con gli altri, comprendere i loro stati mentali e dare significato alle loro azioni e comportamenti;
  • Sviluppare la capacità di creare nessi logici/causali tra gli eventi: il bambino impara a conoscere la relazione tra gli eventi (causa-effetto) e questo gli consente di sviluppare la sua capacità previsionale;
  • Contribuire alla conoscenza delle emozioni: i personaggi vivono avventure e le avventure emozionano. I bambini imparano così a conoscere gli stati emotivi e riconoscersi ed immedesimarsi nei personaggi che li provano, l’adulto può spiegare, contenere le loro emozioni e rassicurarli.

Leggere una storia quindi, non vuol dire solo dar voce a un testo scritto. La lettura è un momento di incontro per condividere, provare emozioni, insegnare, apprendere e crescere. Insomma, tantissime potenzialità in uno dei più semplici e antichi strumenti cha abbiamo, privo di controindicazioni, ricco di valori e risorse.

Quali sono le basi per lo sviluppo psicologico del bambino?

images1Quando si parla di sviluppo psicologico del bambino si è soliti pensare alla qualità della sua infanzia come un elemento indispensabile ai fini del benessere psico-fisico. In effetti, possiamo pensare all’infanzia un po’ come alle fondamenta di un’opera architettonica: la stabilità della costruzione, la sua flessibilità e il suo equilibrio sono elementi indispensabili. La loro importanza però, non va confusa con la necessità di perfezione, questo sia perché la perfezione è un obiettivo irrealizzabile, sia perché stabilire il concetto di “infanzia perfetta” è molto difficile.

Winnicott, famoso psicoanalista inglese di stampo freudiano, ha avuto il merito di aver sfatato il mito o la credenza secondo cui la madre debba necessariamente essere perfetta per una sana crescita del proprio figlio e per non provocare a questi dei traumi. Winnicott sosteneva infatti che non occorre essere una madre infallibile, precisa, irreprensibile ma “sana e affettivamente presente”. Una madre quindi che si stanca, che è alle prese con le proprie difficoltà, che è preoccupata per una serie di motivazioni ma che nonostante tutto è capace di trasmettere amore e sicurezza, che è in grado di rispondere ai bisogni del proprio bambino, sintonizzandosi con le sue richieste.  Sono proprio le grosse carenze nella soddisfazione di questi bisogni a porre le basi per la nascita di problematiche nello sviluppo affettivo dei bambini. I bisogni del bambino non comprendono solo la cura dal punto di vista fisico, come ad esempio il bisogno di nutrizione. Le basi per un sano sviluppo psicologico del bambino passano attraverso i bisogni di:

  • Sicurezza: la sicurezza di un bambino piccolo è completamente nelle mani dell’adulto che si occupa di lui così come quindi la sua possibilità di sopravvivere o meno. Un bambino che cresce con la sensazione di sentirsi in pericolo sperimenta in continuazione un senso di vulnerabilità che condizionerà pesantemente le sue scelte, le sue relazioni, i suoi progetti di vita. È il caso dei maltrattamenti e degli abusi.
  • Autonomia: l’incoraggiamento all’autonomia è un tema molto importante. Questo bisogno, se frustrato, genera problematiche relative alla dipendenza dagli altri, al bisogno di approvazione e all’incapacità di operare scelte. Questo accade quando i genitori non incoraggiano l’autonomia del figlio e tendono a sostituirsi a lui o ad operare per lui scelte che è in grado di prendere da solo. D’altro canto vi sono genitori che invece incoraggiano l’autonomia del bambino non considerando il suo livello di sviluppo, la conseguenza è di nuovo un senso di inadeguatezza e frustrazione perché non ci si sente all’altezza di un compito assegnato.
  • Autostima: è la stima del valore personale che ciascuno di noi fa di sé stesso. Un bambino che non si sente amato è un bambino che trae la conclusione di “non valere”, di non essere quindi degno dell’amore e delle attenzioni altrui.
  • Bisogno di esprimersi: questo bisogno viene soddisfatto quando si incoraggia il bambino sin da piccolo ad esplorare i propri interessi, quando non ci si sostituisce a lui nell’individuare o stabilire le sue inclinazioni naturali ma lo si lascia sperimentare, quando lo si lascia libero di esprimere le proprie emozioni non inducendo in lui colpa, vergogna o ridicolizzazione.

Ecco quindi che non esistono regole perfette o precise da applicare. Questo perché non esiste un bambino uguale all’altro, così come non ci sono genitori identici nello stile educativo e affettivo. L’ambiente che circonda il bambino quindi, dovrebbe essere costituito innanzitutto dall’attenzione a questi bisogni, non dimenticando i propri e non colpevolizzandosi per il fatto di averli. Un bambino è sereno e felice quando si sente al sicuro, amato, quando sente vicine le figure di riferimento che lo incoraggiano ad esplorare l’ambiente e che sono emotivamente presenti, disponibili e accoglienti nel suo percorso di conoscenza del mondo.

Quando mamma e papà si separano…

sepLa separazione dei genitori è uno tra gli eventi più difficili da affrontare nella vita di un bambino. Diversamente da quello che si pensa però, la fine di un rapporto coniugale non interessa solo i genitori e i figli ma l’intero nucleo famigliare (nonni, zii ecc.), ogni persona coinvolta si trova perciò a dover elaborare le diverse emozioni che ne scaturiscono. La separazione è un processo di grande cambiamento e, come tale, innesca inevitabilmente una serie di grandi modificazioni di carattere psicologico, organizzativo e sociale. Così come ogni importante cambiamento porta nella vita di una persona una certa dose di stress, allo stesso modo la separazione si caratterizza come una fase di transizione, di passaggio da uno stato precedente, conosciuto, certo, ad uno nuovo, da conoscere, in cui la ricerca di un nuovo equilibrio può risultare lunga, difficile e problematica. Le emozioni in gioco sono intense: rabbia, colpa, vergogna e tristezza caratterizzano questo passaggio verso la disgregazione di un progetto originario di unione, coesione e complicità, non a caso il termine più utilizzato dai coniugi per descrivere il loro stato emotivo è “fallimento”.

L’interrogativo più frequente tra genitori in procinto di separarsi riguarda la modalità con cui comunicare ai figli la separazione, l’intento che li guida è sicuramente l’intenzione di non procurare loro dolore e sofferenza. In realtà non è possibile annunciare ai figli la separazione coniugale senza che provino dolore o sofferenza, i genitori sono i riferimenti più importanti per i bambini e il timore di perderli va sempre considerato, rassicurandoli che sebbene alcune cose nella loro vita cambieranno, l’amore che provano la mamma e il papà nei loro confronti è talmente grande che non può finire. È molto importante, per quanto difficile sia, comunicare la separazione ai bambini con un linguaggio semplice, adeguato alla loro età, spiegando loro che non vanno più d’accordo ma che questo non ha niente a che fare con loro, che non hanno colpe e non sono il motivo per cui hanno deciso di non vivere più insieme. Per quanto difficile sia, dire la verità è sempre la scelta migliore. È indispensabile la presenza di entrambi i genitori nel momento in cui viene comunicata la decisione di separarsi, un errore molto comune è infatti quello di lasciare che se ne occupi solo uno dei due: i bambini hanno bisogno di ascoltare entrambi i genitori e ricevere da tutti e due le rassicurazioni sul fatto che nessuno li abbandonerà.

Solitamente, le reazioni alla notizia della separazione sono molto simili a quelle che si osservano dopo la perdita di una persona cara:

  • rifiuto e rabbia: può capitare che il bambino si comporti come se non avesse compreso e accettato i cambiamenti di cui gli hanno parlato i genitori, può ad esempio voler evitare di parlarne o far finta che non stia succedendo niente. La rabbia può essere manifestata in vari modi e contesti come ad esempio la scuola, dove potrebbe verificarsi una diminuzione del rendimento o un atteggiamento di chiusura verso gli insegnanti e i compagno. È molto importante che gli insegnanti siano a conoscenza della situazione per poter offrire il loro supporto e comprensione;
  • tentativi di ristabilire la situazione precedente: può capitare che i bambini facciano di tutto per riavvicinare la mamma e il papà, che cerchino di convincerli a tornare insieme promettendo loro di essere più buoni. È indispensabile rassicurare il bambino sul fatto che la decisione di separarsi non è stata presa a causa sua, molto spesso infatti i bambini convivono con un pesante senso di colpa di essere stati la causa della separazione;
  • depressione, tristezza: solitamente queste emozioni si manifestano quando il bambino è divenuto consapevole che quel che sta accadendo è inevitabile, che non potrà più vivere la situazione precedente. La tristezza in questi casi può manifestarsi con apatia, svogliatezza, pianto frequente e isolamento.

È importante rassicurare il bambino che la sua famiglia non cesserà di esistere, che i suoi genitori si separano ma non li abbandoneranno, che i ritmi e le abitudini verranno conservati e mantenuti e che col passar del tempo pian piano si abitueranno alla nuova situazione.

È importante inoltre incoraggiare il bambino a esprimere le sue emozioni e i suoi pensieri. Essere ad esempio all’oscuro del fatto che pensi di essere il responsabile dei disaccordi dei propri genitori è emotivamente difficile da gestire, così come la paura dell’abbandono o di perdere l’amore del genitore che non vive con lui.

La battaglia per metterli a nanna: le regole che possono aiutare

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Molti genitori si trovano a dover affrontare il problema di riuscire a mettere a letto i propri bambini senza che questi facciano quotidianamente i capricci. Dopo una giornata di lavoro, questo momento risulta spesso come la goccia che fa traboccare il vaso, spesso emozioni di rabbia e colpa non fanno che peggiorare la situazione in un crescendo che sfinisce sia il genitore che il bambino.

Capire perché il bambino vada a letto contro voglia non è facile e richiede un’attenta analisi, non in tutti i casi infatti ci si trova di fronte ad una manifestazione di richiesta di vicinanza e attenzione o di poter continuare a giocare, a volte  si tratta di un vero e proprio disturbo del sonno che può manifestarsi attraverso una tempi di addormentamento eccessivamente lunghi, risvegli frequenti, stanchezza durante il giorno.

È importante monitorare il sonno dei propri bambini e, nei casi in cui si nota uno dei sintomi appena descritti, rivolgersi ad uno specialista per non cronicizzare gli effetti della mancanza di sonno regolare che si ripercuotono sul bambino, sui genitori ma anche sui fratellini che finiscono per non rievere più le attenzioni di cui hanno bisogno.

“Igiene del sonno” è l’espressione con cui si indicano funzionali modalità di comportamento che favoriscono il sonno e aiutano ad aumentarne l’efficienza, bisogna tener presente infatti che il sonno svolge importantissime funzioni sul nostro benessere ed è importante che la sua qualità mantenga un buon livello.

L’igiene del sonno parte dal controllo dei cosiddetti “fattori ambientali” che hanno un ruolo molto importante sia per l’addormentamento che per il mantenimento del sonno:

  • Evitare giochi troppo attivanti almeno tre ore prima dell’orario in cui il bambino va a letto;
  • Mantenere la temperatura della stanza intorno ai 20° C, temperature stroppo alte disturbano il sonno;
  • Non coprire mai troppo il bambino, il caldo potrebbe provocare risvegli;
  • L’ambiente dovrebbe essere tranquillo, poco luminoso e silenzioso.

È importante inoltre adottare una serie di regole a cui attenersi per favorire l’apprendimento di un sonno sano e ristoratore:

  • Non mettere mai a letto il bambino già addormentato: al suo risveglio si troverà in un posto diverso da quello in cui si è addormentato (in braccio, in macchina, nel letto dei genitori ecc.) e cercherà di ritrovarsi nelle stesse condizioni per riaddormentarsi;
  • L’orario di risveglio al mattino e di addormentamento serale devono essere mantenuti costanti, sempre alla stessa ora;
  • Se piange, avvicinarsi ma non riempirlo di troppe attenzioni, parlare con  voce bassa e calma, rassicurarlo con una carezza. Non mostrarsi allarmati o arrabbiati, il bambino è capace di leggere le emozioni sul viso del genitore e non si addormenterà facilmente se percepirà emozioni negative;
  • Alternarsi nel portare a letto il bambino: evita di creare un’esclusività con un solo genitore che impedisce l’addormentamento quando la stessa figura non è disponibile, non consente inoltre all’altro genitore di conoscere il rituale di addormentamento del bambino;
  • Promuovere l’attività fisica durante il giorno e non nelle ore serali;
  • Favorire una corretta associazione letto-sonno, evitare che il bambino giochi a letto o svolga altre attività;
  •  Non  usare il momento di andare a letto come una punizione, i bambini dovrebbero andare a letto senza “questioni irrisolte” che favoriscono il permanere di emozioni negative/attivanti. Influisce inoltre sulla corretta associazione letto-sonno;
  • Evitare sonnellini frequenti e troppo lunghi, dopo il primo anno di vita di solito si riducono a 2, a quattro anni ne basta uno e quando si arriva alla scuola elementare di solito non ne avverte il bisogno.

È bene comunque rivolgersi ad uno specialista quando le difficoltà di addormentamento e mantenimento del sonno tendono durare nel tempo. La tempestiva e corretta valutazione della problematica connessa al sonno consente di aiutare i genitori a gestire la situazione in maniera funzionale e al bambino di poter beneficiare di un sonno efficiente e ristoratore.

Il rimprovero come strumento educativo

bimbo-300x225Il rimprovero è un atto educativo che ha l’obiettivo di sanzionare una condotta o un modo di fare giudicato inopportuno, la sua funzione è quindi quella di correggere un comportamento ritenuto sconveniente o nocivo, non in linea con alcuni standard adottati da chi muove la critica.

Essendo uno strumento educativo, non si può non tener conto della modalità con cui viene attuato e degli effetti che questo comporta sul bambino.

Se da un lato è vero che non rimproverare un bambino non gli dà l’opportunità di comprendere quali comportamenti non deve ripetere, dall’altro troviamo a volte rimproveri che non riescono a raggiungere l’obiettivo per cui sono effettuati. Spesso capita infatti di compierlo con una modalità aggressiva che diventa controproducente.

Quali sono quindi le caratteristiche di un rimprovero adeguato?

  • Riferirsi solo a ciò che è accaduto senza generalizzare: un comportamento errato o sbagliato non implica che il bambino sia “cattivo”;
  • Assicurarsi che il bambino abbia compreso la motivazione per cui non deve ripetere quel comportamento, il bambino non ha in mente tutte le motivazioni dell’adulto per cui non si può dare per scontato che ne abbia compreso tutte le conseguenze;
  • Utilizzare un tono autorevole e deciso;
  • Comunicare senza aggressività ed evitare modalità ricattatorie.

Il rimprovero deve promuovere un atteggiamento autocritico ed aumentare la consapevolezza, utilizzarlo con un’emotività molto alta (ad esempio in preda alla collera) favorisce nel bambino l’insorgenza di emozioni come la paura, la rabbia che non permettono la riflessione sui propri atteggiamenti e sulle motivazioni che li hanno generati.

Qual è il miglior metodo educativo?

eduL’educazione dei bambini ha subito col tempo un notevole aumento dell’attenzione e molto spesso i genitori si documentano sempre più sui vari stili educativi e su quale sia il modo migliore per crescere i propri figli.

La crescente attenzione ai minimi aspetti delle scelte educative ha messo in dubbio uno dei detti popolari più famosi della “psicologia comune” come “Mazze e panelle fanno i figli belli”. Questo stile educativo è guidato dal principio teorico che vede la “punizione” come un possibile deterrente di comportamenti giudicati inopportuni. Ma è davvero così? È chiaro che tutti i genitori hanno come obiettivo il bene dei figli ma come si fa a capire se un metodo educativo è adeguato?

Ogni genitore dovrebbe tener conto che insieme al coniuge, rappresenta il primo modello attraverso cui il bambino impara. Da lui apprende non solo a parlare, a camminare e a giocare, ma impara un’abilità importantissima: stare in relazione. Stare in relazione con gli altri è una capacità che il bambino sperimenta a partire dagli adulti di riferimento e utilizza con i suoi pari e con gli altri, generalizzando il modello appreso che diventa una sorta di “schema”, un modo fisso di relazionarsi. Durante la crescita, i bambini mettono sicuramente a dura prova la pazienza degli adulti (continue richieste, insistenze, provocazioni) e di certo una “sberla” non è sinonimo di “non amore o cattiveria” del genitore. Se adesso facciamo un passo indietro, e torniamo al concetto di “apprendimento dall’adulto”, lo schiaffo presenta caratteristiche e soprattutto significati che paradossalmente non vorremmo che un bambino apprendesse. Nello specifico, i messaggi contenuti nello schiaffo sono:

  • La mamma o papà quando si arrabbiano possono farmi del male e quindi sono da temere (imparo ad aver paura di loro);
  • Siccome li temo non posso parlar loro di tutto, se si arrabbiano io rischio di star ancora peggio! (Non so con chi parlarne/devo rivolgermi ad altri);
  • Quando ci si arrabbia con qualcuno lo si può/deve picchiare;
  • Se picchio chi mi fa arrabbiare ottengo che lui smetta di fare ciò che mi infastidisce.

Ora, immaginate di utilizzare la sberla come strumento educativo. Ancora, immaginate che vostro figlio abbia picchiato un compagno a scuola durante un diverbio e che la maestra ve lo riferisca. Tornate a casa e, ovviamente, parlate dell’accaduto con il bambino. Come gli spiegate che non si fa e che non deve farlo più? In fondo voi con lui lo avete fatto e lui ha imparato che spaventare l’altro è il metodo più efficace per raggiungere l’obiettivo. Come risolvete la situazione? Come gli spiegate che voi potete farlo e lui no? Cosa ottiene il bambino da questa esperienza? Confusione, instabilità, mancanza di sicurezza nel genitore, errata previsione dei suoi comportamenti. Ecco quindi che l’incoerenza del genitore è una delle caratteristiche più pericolose nell’educazione dei figli.

Allora probabilmente ciò che conta è dialogare, spiegare, insegnare a gestire le emozioni già dalle piccole situazioni che ci vengono offerte quotidianamente in modo che il bambino impari a capire come si sente e apprenda dal genitore un modo funzionale per esprimere quell’emozione.

Un corretto stile educativo quindi, non insegna a risolvere i problemi con l’aggressività ma attraverso il dialogo, la comprensione delle motivazioni alla base dei comportamenti, il suggerimento di una strategia diversa per risolvere i problemi. Inoltre, essendo esseri sociali abbiamo bisogno degli altri nella nostra vita e imparare a “stare in relazione” è di fondamentale importanza. Stare in relazione insomma è una capacità inscritta nel nostro patrimonio genetico ma modellabile e plasmabile da chi ci insegna sin dai primi giorni di vita a stare al mondo.

Non possiamo quindi interrogarci sulla correttezza di un metodo educativo se non cerchiamo di analizzare il nostro modo di relazionarci con i figli, perché questo viene prima di tutto. Cerchiamo di soffermarci più sul “come” insegniamo, il “cosa” viene dopo.

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